INTERNET IN PERICOLO DI CENSURA, ci avverte Unione Nazionale Consumatori

Si chiama Dominic Kis, ha 22 anni, è tedesco e il 15 giugno 2018 ha lanciato su Change.org una campagna internazionale per salvare internet: sono oltre 4 milioni e 900 mila i cittadini europei che si sono mobilitati per fermare la nuova direttiva europea sul diritto d’autore che metterebbe a rischio la libertà d’espressione di quanti ogni giorno utilizzano la Rete.
Ricordate? Ce ne eravamo già occupati con l’Unione Nazionale Consumatori lanciando la campagna “#PocheParole”
Adesso questa petizione su charge.org vede l’Italia al terzo posto per firme raccolte insieme a Francia e Germania.
Si solleva in particolare il problema legato all’articolo 13 della nuova direttiva sul diritto d’autore. Se approvato, infatti, il nuovo testo obbligherà le piattaforme digitali ad applicare dei filtri sui contenuti pubblicati dagli utenti.
Questi filtri potrebbero diventare “una scusa” per filtrare i contenuti dal punto di vista ideologico. Dobbiamo impedire che ciò accada: non possiamo correre il rischio di censurare internet.
Con l’approvazione della nuova normativa, correremmo il rischio che piattaforme come Youtube, Google, Wikipedia e Facebook non dovranno più aspettare, come accade adesso, di ricevere una lamentela per la violazione del diritto d’autore per poi fare le dovute verifiche, ma dovrebbero monitorare in maniera massiccia i contenuti per rilevare possibili violazioni. Nel dubbio, per tutelarsi, bloccheranno continuamente anche i contenuti che non violano le regole. Perché se non lo facessero, rischierebbero di essere sanzionati, e logicamente preferiranno prevenire piuttosto che curare. Questo vorrà dire censurare migliaia di contenuti che non dovrebbero essere bloccati ma che non saranno più disponibili. Sarà la fine di internet come lo conosciamo.
Un esempio? L’articolo 13 è stato anche definito “ammazza-meme”, poiché, paradossalmente, renderà impossibile agli utenti caricare una foto scherzosa creata a partire da un’immagine protetta da copyright.
L’obbligo di applicazione di tale “filtro” e l’eventuale acquisto di licenze da parte delle piattaforme online per evitare di incappare nelle violazioni, inoltre, metterebbe in seria difficoltà le piattaforme online di medie e piccole dimensioni, che non hanno la disponibilità economica per sostenere tali costi.
L’altro limite alla libertà d’espressione è rappresentato dall’articolo 11, che riduce la possibilità di utilizzare testi e parole provenienti da articoli e altre fonti d’informazione da parte degli utenti sul web: la libertà dei cittadini di commentare gli eventi di attualità e confrontarsi liberamente su tematiche e notizie di vario genere verrebbe così confinata.
“Grazie al numero di firme che abbiamo raccolto con questa petizione”, continua Dominic Kris, “siamo riusciti a creare consapevolezza tra molti Parlamentari europei dei seri rischi che questa riforma comporterebbe, ma oggi più di sempre noi cittadini europei dobbiamo insistere perché il nuovo voto è imminente” (26 marzo). Siamo già quasi a 5 milioni di firme.
È urgente firmare per fermare questa legge.
FIRMA LA PETIZIONE A QUESTO LINK
Sito ufficiale di Save the Internet
Sito della campagna #PocheParole
Autore: Unione Nazionale Consumatori


Data: 20 marzo 2019

Pubblicato in ARTICOLI | Lascia un commento

TANTO PER NON ILLUDERSI di Alfonso Luigi Marra

Il Consiglio europeo e la Commissione europea sono, astrattamente, due organi perfettamente democratici, perché il primo è composto dai Presidenti del Consiglio dei Paesi membri, e la seconda da Commissari designati ognuno dal governo di ogni Paese, e non rileva che non siano eletti, così come non sono eletti ad esempio i Presidenti e i Ministri dei singoli Paesi, perché quelli che vanno eletti sono i parlamentari, che poi compongono le forze che eleggono o designano i componenti di questi organi. Il problema, dunque, non è formale, ma sostanziale, ovvero il problema è che l’intero sistema politico e sociale è soggetto alle lobby. Bisogna quindi sì fare la riforma istituzionale europea e dare ai deputati il potere di iniziativa legislativa ed al Parlamento europeo il potere di promulgare le leggi che vota, ma neanche questo servirà a nulla, se prima non cambia la cultura. Perché anche oggi i parlamentari europei, pur non avendo i poteri suddetti, potrebbero ribellarsi, e non si sono mai sognati di farlo (nel 1994/1999, quando ero eurodeputato, l’unica cosa che non ho fatto per indurveli è stata prenderli a bastonate). Perché la verità è che sussiste un regime di radicale collusione sia nazionale che europeo che mondiale con il potere economico, cioè con la cupola bancaria.

Alfonso Luigi Marra

Pubblicato in ARTICOLI, Autore | Lascia un commento

LA SOCIETÀ SEGRETA (da “Annuvolata” romanzo) di Giuseppe Campolo

Cap. VIII (frammento)

Alla mia finestra, la neve attanagliava l’inquieto capriccio d’un pallido rosa e, mentre lo sguardo vi s’indugiava, io scacciavo commossi ricordi e nostalgie.
Con l’animo pulito come l’arruffato passero che spigolava sul marciapiede, col marziale passo degli stivali, imbacuccato nel mantello impellicciato d’un re, andavo a incontrare Melckitsedek. E come se gli spiccioli uomini godessero, per indirette vie, il riflesso merito dell’evoluzione, benedicevo in cuor mio chi mi passava accanto.
Gli studenti, impiegati a tempo ridotto alla distribuzione dei libri, stante il poco movimento della mattinata di freddo, mi rivolsero la parola desiderosi di conversare. E quel che piú trovarono interessante fu che avessi una casa tutta per me; ed essa divenne, ben presto, eletta sede d’incontro per mezza università.
C’era chi s’indugiava fino a notte e, dopo che m’ero messo a letto, mi parlava finché non mi fossi addormentato; poi usciva tirandosi la porta. C’erano i mattinieri che mi svegliavano portando il caffè nella tazzina termica e mi mettevano fretta per uscire. Venivano singolarmente, a gruppi, a frotte.
Poi, per i tanti rimproveri di chi non mi aveva trovato e le tante visite preannunciate, non potei piú quasi assentarmi nemmeno per un’ora. Gli anarcoidi frequentatori della mia casa erano diventati l’oggetto di tutto il mio impegno. Attraverso me, c’era tra loro un intenso scambio d’idee. Si discusse d’ogni problema planetario con l’ansia pura di trovarvi soluzione. Tornava sempre accusato il potere d’interessata malizia.
Fondammo quindi una società segreta (che chiamammo La sacra truffa) i cui membri dovevano avere il compito di perseguire l’interesse collettivo, usando la furbizia insospettabile di simulare sempre un interesse personale; velare di demagogia ogni idea che può sottrarre, all’appiglio del potere, un nodo che è destinata a sciogliere, o un conflitto che può comporre. Progetto ingenuo e ormai obsoleto, ora che al divide et impera è sostituito il progredito imperativo d’unire il mondo per definitivamente dominarlo. E tuttavia è, tuttora, non privo di fascino immaginare di poter spingere dall’interno (da posti chiave, raggiunti non per ambizione e massonerie arriviste, ma per un segreto e nobile anelito) le potenti ‘personalità giuridiche’ esistenti, fino ad attuare davvero i fini dichiarati dai loro statuti, pretesto della loro costituzione. È la prima società segreta che si conosca al mondo senza nessuna necessità d’organizzazione, non essendo soggetto beneficiario. Ogni membro è accolito e gerofante. A sua discrezione e a suo rischio può insignire degli astratti titoli di ‘Principe del Risanamento’ e di ‘Cavaliere Astuto’. Non c’è gerarchia, non ci sono ordini, cariche e processi. Nessuno sa come si diffonda, dove serpeggi, dietro a quale gesto d’associazioni, di chiese, di consigli e parlamenti operi in maniera determinante o si areni.
Se sia cresciuta o morta sul nascere, lo ignoro. Ma certo è che, tra il salotto e la camera da letto, incontrai tante belle intelligenze da rendermi un inspiegabile mistero come la società, nel suo complesso, possa esser cosí stupida, come possa passivamente soccombere a ogni vessazione e l’individuo, per sottrarsene, non trovi altre risorse che industriarsi a mascalzonare.
Cercavo ancora una logica che autorizzasse l’ottimismo per il futuro, malgrado il fallimentare disegno della storia, quando giunse il carnevale e i miei amici approntarono una festa. E mentre la rossa Loretta sfilava il maglione, accaldata dal ballo, e ora lo protendeva davanti alla sua testa come un tunnel per privati sogni, mi ci affacciai e le dissi: “Ho fretta di consumare la vita”. Nella gialla luce che traspariva, fermò un lampo blu dei grandi occhi; e sgusciò sbuffando, colta da esagerati effetti del caldo.

 

Vuoi leggerlo? 

Facile: richiedilo a

samideano@hotmail.it

 

 

Pubblicato in ARTICOLI, Autore | Contrassegnato , | Lascia un commento

IL PUPO di Gaetano Lo Castro

“…sono come marionette,
e il loro filo è la passione.”
(Rosso di San Secondo – Marionette, che passione!)

Una volta c’era, in un teatrino di marionette, un magnifico pupo.
Era un pupo di legno, rivestito da un’armatura di latta scura con scudo e spada, col capo coperto da un elmo con un lungo cimiero. Era un paladino forte e fiero.
Egli faceva parte d’uno dei non tanti rimanenti teatrini di marionette siciliane. Lui e gli altri pupi della compagnia venivano fatti esibire spesso in spettacoli per piccoli e grandi nelle piazze, nelle scuole, nei teatri. Il proprietario del teatrino era un puparo che praticava la propria professione con molta passione. Da parecchie generazioni la sua famiglia si tramandava di padre in figlio l’arte di fare marionette, di manovrarle per mezzo dei fili, di farle parlare tramite la voce umana. Il puparo amava ciascuna sua marionetta, e ne aveva cura come di una creatura.
Ma questo pupo purtroppo era molto infelice. Forse era un pupo particolare. Forse aveva qualcosa di anormale. Perché ciò che causava la sua sofferenza, ciò che angustiava la sua esistenza, era qualcosa che ha da sempre fatto parte della natura d’una marionetta: i fili. Quei fili sottili che gli facevano muovere le braccia, le gambe, la testa; quei fili tiranni che dirigevano i suoi gesti e le sue azioni; quei fili insopportabili che impedivano la sua indipendenza. E poi pure quella voce non sua, che parlava per lui, e che esprimeva pensieri non suoi. Era troppo.
Guardava i suoi simili con invidia, perché vedeva che invece per loro non costituiva un tormento tutto questo. I fili erano per loro legami normali ai quali non si fa caso, come per i cavalli le briglie, come per i cani i guinzagli. Egli perciò pensava d’avere qualcosa che non andava, e si domandava se era un povero pupo pazzo, si chiedeva se era una misera marionetta matta. Ma era come gli altri all’apparenza, perché se la teneva dentro questa sofferenza, e così nessuno ne veniva a conoscenza.
Aveva a volte voglia di togliersi d’addosso gli odiosi fili, e quindi fuggire. Non sarebbe stato tanto difficile defilarsi senza farsi scoprire. Però c’era una cosa sola che glielo impediva. Lui aveva anche un altro filo, che lo tratteneva al teatrino. Era un filo invisibile e impalpabile, che legava il suo cuore a un’altra marionetta. Amava la bella ancella, una marionetta mulatta. Si era innamorato del suo bel volto color cioccolato, coi capelli crespi e neri, cogli occhi di giaietto. Lei di questo suo sentimento ardente non ne sapeva niente. Lui nella tenzone di guerra era temerario, ma nella tenzone d’amore era timido. Il suo corpo era di legno duro, ma il suo cuore era tenero.
Una sera, dopo uno spettacolo molto applaudito, i pupi erano stati riposti dal puparo nel magazzino. La giornata era stata intensa ed essendo affaticati si erano in breve addormentati, immergendosi ognuno nei propri sogni. Dai vetri della finestra la luce lunare illuminava in minima parte l’ambiente semibuio e ingombro di pupi appesi alle pareti, di attrezzi, costumi, scenografie varie.
Lui non dormiva, ma osservava assorto la luna, lontana e leggera. D’un tratto nel silenzio sentì qualcosa, e gli parve di vedere delle ombre muoversi. Quindi udì un bisbiglio giungere da un angolo del magazzino. Si sganciò dalla parete e si lasciò cadere senza far rumore sopra un sipario ripiegato. Si avvicinò e intravvide due marionette intente a confabulare. Una era il mercante d’oriente, l’altra l’ancella mulatta. Il suo cuore subito sussultò.
“Hai fatto bene a parlare e aprirmi il tuo animo.” mormorò il mercante.
“Il mio cuore è pieno d’amore. Non potevo più tenermelo dentro.” sospirò l’ancella.
“Farò tutto quello che posso affinché tu sia felice.” le promise il mercante.
“Oh, io ero sicura che non mi avresti delusa.” gli sussurrò l’ancella.
Lui sentì dentro il petto come se si spezzasse qualcosa. Una rottura molto dolorosa. Si avvicinò alla finestra. Cercò di strapparsi i fili di dosso, ma non ci riuscì. Per liberarsene dovette togliersi la spada, lo scudo, l’elmo, e spogliarsi di tutta l’armatura. Si sentì un pupo nudo. Ma meglio nudo e libero, che vestito e legato. Accatastò alcune casse, ci salì sopra, aprì la finestra e saltò fuori.

In cerca di cibo nei cassonetti un cane fiutava i rifiuti. D’improvviso s’immobilizzò, drizzò le orecchie e scrutò l’oscurità. Avanzò sul marciapiede la marionetta, osservata con ostilità. Si fermò nel chiarore d’un lampione e fissò il cane con curiosità. Un ringhio intimò allo strano intruso di tenersi alla larga da là.
“Guarda che io non intendo invadere il tuo territorio.” lo rassicurò il pupo.
“E allora cosa cerchi?” chiese il cane.
“Ti sei liberato del guinzaglio e sei scappato dal padrone?” domandò lui con ammirazione.
“Se vuoi davvero saperlo, io non l’ho mai avuto un padrone.” rispose il cane. “E se l’avessi non sarei certo così scemo da scappare.”
“Ma dunque non conta niente per te la libertà?” esclamò la marionetta.
“Libertà per me significa fame e solitudine.” disse il cane con afflizione.
Il pupo lo fissò per un po’, poi continuò il suo cammino. Il cane randagio seguì collo sguardo la marionetta senza fili, finché sparì di nuovo nella notte.

Nella sabbia della spiaggia lasciava lievi impronte. Sedette sul bordo d’una barca capovolta. Alta e luminosa la luna era sospesa sulla nera distesa marina. La marionetta rimase a meditare, mirando l’immenso mare.
D’un tratto fu distratto da un rumore che s’avvicinava, sinché scorse un’imbarcazione. Un vecchio barcone a motore senza illuminazione. Arrivò a riva e riversò sulla battigia uomini, donne e bambini. Erano sporchi e spossati. Si guardarono intorno spaesati.
Un ragazzino si accorse del pupo e se lo prese. Sul suo triste viso sorse un sorriso. Il pupo lesse negli occhi adesso raggianti del ragazzino l’aspirazione a una vita migliore di quella dalla quale la sua famiglia era fuggita. Ci lesse il desiderio di libertà dalla povertà.
All’improvviso la gelida luce di alcune torce elettriche spazzò la spiaggia buia. Subito tutti cominciarono a correre come pecore sbandate. Al ragazzino clandestino cadde di mano la marionetta. Egli fece per fermarsi a raccoglierla, ma la madre lo trascinò via.
“Alt, polizia!”
Parecchi agenti bloccarono gli immigrati. I più piccoli piansero spaventati. I poliziotti portarono tutti via. In riva al mare ritornò il silenzio.
Il pupo si rimise seduto sulla barca. Provava una profonda tristezza. Si chiese se in questo mondo esistesse qualcuno che fosse davvero libero. Forse nessun essere possedeva la vera libertà. Marionette, animali e uomini avevano ognuno i propri fili, visibili e invisibili. Gli uomini erano quelli che ne avevano di più: fili elettrici, fili telefonici, fili televisivi, e anche tanti altri invisibili. Guardò il cielo pieno di belle stelle. Ma poi forse lassù…
Si sollevò e cominciò a camminare sulla riva del mare. Nel petto sentiva una tensione. Si accorse che il filo che legava il suo cuore all’ancella non s’era spezzato come credeva. Anzi, più lui s’allontanava da lei, più il filo l’attirava a lei. Era un filo elastico. Più fra loro cresceva la distanza, più lui sentiva la sua mancanza.
Si arrestò. Ma dove stava andando? Si guardò intorno: buio e silenzio. Sentì tanto pesanti la sua solitudine, la sua nudità, la sua mancanza d’identità. Si sentì mancare la terra sotto i piedi. Stava per precipitare in un baratro mortale, ma lo trattenne un filo provvidenziale, che gli impedì di caderci dentro. Quel filo legato al suo cuore fu per lui come una corda d’alpinista, una corda di sicurezza. Quel filo era la salvezza. Quel filo era la vita.
Si voltò e tornò indietro.

L’oscurità della notte andava già dissolvendosi nel chiarore dell’alba. Arrampicandosi agile al tubo pluviale il pupo arrivò nella finestra, entrò dentro, scese dalla catasta di casse e fu nuovamente nel magazzino. Le marionette erano ancora addormentate. Lui indossò rapido la sua armatura, l’elmo, lo scudo, la spada. Era di nuovo a casa.
“Paladino, si può sapere dove ti eri cacciato? T’ho cercato invano dappertutto.”
Il pupo sussultò. Si girò. Era il mercante d’oriente.
“Senti, ti devo parlare di un affare molto importante.” riprese il mercante.
“Ti ringrazio, ma non desidero comprare niente.”
L’aurora incominciava a illuminare l’ambiente.
“È un affare di cuore.” continuò il mercante. “Si tratta dell’ancella mulatta.”
Un raggio lambì l’armatura di latta.
“Lei e io abbiamo avuto un colloquio, in cui m’ha confidato il suo amore…”
Il sole sorse con ardore.
“…per te.”
Era nato un nuovo giorno.
“E io le ho promesso che avrei fatto tutto il possibile per aiutarla.” aggiunse il mercante d’oriente.
Un giorno splendente.
In quell’istante apparve la bella ancella. Lui l’abbracciò con slancio e la baciò. I fili delle due marionette si mischiarono. Anche gli altri pupi della compagnia comparvero, e li circondarono. Divertendosi assai assistettero allo spettacolo della coppia che, più cercava di districare i fili, e più questi si aggrovigliavano.
Alla fine applaudirono ridendo le due marionette, strettamente avvinte l’un l’altra.
E felici.

Pubblicato in ARTICOLI, Autore | Lascia un commento

I PENSIERI SONO COME I FOTONI, di Ornella Mamone Capria

Ispirata dall’articolo ” Lo spazio e il sublime” di Giuseppe Campolo
MIA RIFLESSIONE
Il pensiero genera materia poiché esso è materia? L’articolo mi invita a fare una digressione non filosofica né scientifica sul pensiero.
Il pensiero potrebbe avere massa, occupare spazio e non solo possedere energia. Per quanto riguarda lo spazio esso dapprima è inscritto nella nostra mente (e potrebbe rimanerci per sempre), poi esprimendosi fuoriesce da essa e diventa estendibile, addirittura gestibile da altre menti, in poche parole appena si trasmette diventa matrice inscritta nei movimenti e nei gesti del nostro e dell’altrui corpo, cioè acquisisce massa e peso.
Massa intesa come quantità intrinseca del pensiero e Peso inteso come grandezza vettoriale che varia da punto a punto del nostro spazio e allo stesso tempo forza con cui si attirano altri pensieri.
Quando il nostro corpo reagisce al pensiero esso risponde alla teoria sulla relatività generale di Albert Einstein infatti l’effetto della sua massa diventa responsabile della curvatura del nostro spazio/tempo e non solo… ma l’azione derivante della gravità dei nostri gesti buoni o cattivi dipende dalla densità e dal flusso di energia e dell’impulso con cui viene curvato questo spazio/tempo.
La realtà curvata dallo spazio e dal tempo è quindi il riflesso dei nostri pensieri. Pensare positivo significa aiutare a dare alla curva frequenze e vibrazioni che entrano in sintonia con il bene comune. Pensare positivo significa neutralizzare l’egoismo, l’ipocrisia, l’invidia, la gelosia, l’egoismo che è in ognuno di noi.
Prima che i neutrini, che forse formeremo di noi dopo la morte, prima di viaggiare alla velocità più grande della luce nell’infinito dilatato, prima di lasciare questo tempo/spazio rallentato o accelerato, allungato o accorciato, sforziamoci a pensare il bene poiché, riformulando un’immagine dell’articolo, i pensieri sono come i fotoni, disegnano la realtà in colori oltre l’ultimo grano di materia oscura che incontriamo.

Pubblicato in ARTICOLI, Autore | Contrassegnato | Lascia un commento

INCONTRI di Giuseppe Campolo

(da “L’amore occulto”)

Pubblicato in Senza categoria | Contrassegnato , | Lascia un commento

NOTRE DAME di Alfonso Luigi Marra

Ormai è certo che uno di questi giorni – forse prima che i neonati vedano il tempo dei primi passi, al limite dei banchi d’asilo, ma certo molto prima che Notre Dame possa essere ricostruita – l’Europa, le Americhe, il mondo intero, le genti tutte, inizieranno ad essere arsi dagli incendi globali figli delle temperature roventi e della secchezza dei venti, o strappati da terra dagli uragani, o travolti dalle alluvioni e dalle onde del mare… Ma immaginare che non ci sarà futuro è una cosa che tutti continuano a non voler fare. Tutti invece si aggrappano a questo peraltro misero presente rinunciando a priori alle possibilità di salvarsi. Perché la catastrofe si può ancora fermare.

Pubblicato in ARTICOLI, Autore | Lascia un commento

SCHIAVITÙ FISCALE di Alfonso Luigi Marra

SCHIAVITÙ FISCALE, SOTTO MENTITE SPOGLIE DI NUOVA LEGGE FALLIMENTARE (DL del 12.1.2019, n. 14, in vigore dal 15.8.2020)

Nel mentre che tutti parlano d’altro, hanno promulgato una nuova, chilometrica legge fallimentare che è in realtà una delle solite norme la cui lunghezza e cervelloticità servono ad occultare il punto cruciale: un sistema di ‘allerta’ fallimentare funzionale alla distruzione, a favore delle multinazionali, di tutte le medie e piccole aziende, anche agricole, e dei milioni di posti di lavoro che esse ancora garantiscono.
‘Allerta’ che, a mio avviso, riguarderà presto anche i professionisti e i semplici consumatori.
Sistema di ‘allerta’ in virtù del quale, in sintesi, appena un’azienda ha un debito fiscale o bancario, la banca e il fisco addirittura DEVONO lanciare un’allerta che fa scattare la procedura fallimentare. Procedura che culminerà sì, proprio come prima, nell’eliminazione dell’azienda in presenza peraltro di un regime sanzionatorio ancora più grave di quello vecchio, ma che – evviva evviva! – non si chiamerà più fallimento, bensì dichiarazione di stato di crisi.
Una sistema che, peraltro, non si applica alle banche, alle finanziarie ed insomma a tutte quelle grandissime entità economiche a cui andrebbe invece applicato.
Una legge che, se fossimo l’Irlanda, l’Inghilterra, la Germania – Paesi dove cioè le tasse sono basse o sopportabili e lo Stato ti dà in cambio qualcosa – e se fosse diversamente formulata, potrebbe anche andare, ma che, considerando come siamo messi, avrà il calcolato esito di lasciare in campo solo le multinazionali.
Una legge che riguarda anche i semplici consumatori e professionisti che però, per ora, non sono soggetti all’‘allerta’, ma solo perché la cupola ha bisogno di qualcuno che la sostenga o almeno non vi si opponga, ma che, a mio modesto avviso, al momento ‘buono’, verrà estesa dapprima anche ai professionisti e poi ai consumatori. Sicché il controllo della società attraverso lo strumento fiscale sarà completo.
Questo mentre tutti sanno che i tributi sono illeciti stante il signoraggio ed io – seguito solo da quattro sia pur affettuosissimi gatti – mi accingo a notificare le citazioni contro il Governo per la condanna alla restituzione dei tributi pagati negli ultimi dieci anni e la declaratoria delle loro non debenza, stante l’incostituzionalità delle norme che li prevedono dato il signoraggio; e contro la Banca d’Italia (BI) e la BCE, per la condanna al pagamento di una somma pari all’importo del debito pubblico diviso per il numero degli italiani (32 mila euro circa).
Si tratta di cause collettive, praticamente senza costo per il cittadino.
Chiunque vuole far valere questo sacrosanto diritto può chiedere il modulo di adesione presso il mio studio:
80143 Napoli, Centro Direzionale G1
tel: 0817879166; mail: studio@marra.it

Alfonso Luigi Marra

libri

Pubblicato in ARTICOLI, Autore | Contrassegnato | Lascia un commento

UN CHICCO DI RISO, DUE CHICCHI DI RISO di Lucilla Trapazzo

(Pensieri sparsi – scritti durante “Counting the Rice” – performance pubblica ideata da Marina Abramovic – Centre d’Art Contemporain di Ginevra – maggio 2014 – design di Daniel Libeskind)

Mi sveglio alle cinque, il viaggio in treno da Zurigo è lungo. Per più di tre ore la Svizzera scorre e prende forme diverse al di là del finestrino, l’azzurro dei laghi, il viola delle montagne, distese di erba e di fiori che esplodono. Ginevra odora di Francia e cannella, la lingua si scioglie sui denti. Il Centro di Arte Contemporanea è un enorme cubo grigio di calcestruzzo inaccessibile, ne percorro tutto il perimetro prima di trovare l’entrata.

Sono tra i primi ad arrivare. Ci fanno indossare un camice bianco, asettico. Mi tiro su i capelli. Come me, gli altri arrivano e sembrano sperduti. La voce di Marina Abramovic ci accoglie, ci racconta visioni e ci accarezza illustrando il progetto. Per le prossime sei ore ci aspetta un sedile di legno spartano, un mucchio di riso e lenticchie, nient’altro.

Mi guardo intorno, cerco un posto che sia giusto per me. Ho bisogno di luce, voglio sentire il mio posto vibrare. Sul tavolo riposano i grani di riso e di lenticchie, un foglio di carta e una penna. Ho sei ore per dividere e contare. Tocco i chicchi con le mani, quelli bianchi e quelli neri, attendo una connessione sensoriale, un metodo. Separerò i colori, ho deciso. Il nero mi afferra lo sguardo. Comincerò col contare le lenticchie. Divergono in forma e sfumature di colore. Mentre divido il bianco dal nero, noto che molti chicchi di riso sono spezzati. Cosa fare con i chicchi spezzati? Poi, ci penserò poi, ora conto solo le lenticchie.

Il senso è nel gesto: 1-2-3-4-5-; 10-20-30-40-50; 2×50; 5×100; 2×500… i numeri sono qui, esatti e finiti, divisi a mucchietti sul tavolo.
Le mie mani sono vanghe ed aratri, e lavorano insieme. Non sono io che le muovo. Sono diventate un’entità a sé stante. Una – la sinistra – divide, mentre l’altra – la destra – conta.
Solo questo accade, la conta. Non ci sono assoluti, non ci sono metafore, né profondi significati filosofici. Il riso è riso, le lenticchie sono lenticchie e io ne conto ogni grano, in francese e in inglese e il tempo trascorre.

La mia mente ha bisogno di ordine e geometria. Lo spazio si allarga e improvviso mi accade l’odore del legno, inspiro più a fondo e lo accolgo. In modo automatico divido le lenticchie in piccoli mucchi da cinque e da dieci, poi da cinquanta e da cento e per ultimi creo i mucchi da mille. Ecco il mio ordine, l’armonia dei numeri apre la mente.

Ho detto no alle metafore, ma curiosamente non smetto di pensare alla Cina -abbastanza banale – mi dico. Non penso alle stelle, agli atomi, alle monadi, né ai grani di sabbia, penso ai contadini cinesi, alle loro spalle ricurve nei campi inondati, alle loro mani che lavorano fino alle piaghe per una tazza di riso, forse più profumato di questo.

Costruisco autostrade sul tavolo e vi lascio scivolare attraverso le mie pile da cento. Le ore si accumulano insieme alle pile. All’improvviso ritorno alla mia lingua d’infanzia, ora conto solo in italiano. Sono immersa così tanto in questi numeri, in questo calcolo che i miei occhi percepiscono gli errori della mano prima che la mente li registri. La mente smette di pensare e si abbandona a questa forma elementare di meditazione attiva. Ho bisogno di ridurre lo spazio, divento più piccola e stringo le braccia. Sono arrivata a duemila lenticchie.

Uno stormo di uccelli fuori della finestra cinguetta e all’improvviso rompe il silenzio della stanza. Sono confusa e fremente, mi sveglio. Sento l’urgenza frenetica che monta, comincio a vedere la fine dei granuli neri, gli istanti che corrono. Voglio finire al più presto con le lenticchie, voglio, voglio cominciare subito a contare il riso. E poi voglio giocare, voglio mescolare tutto di nuovo, voglio disegnare e scrivere frasi coi grani di riso.

Ecco l’ultima lenticchia. Sono arrivata finalmente al mucchio di riso. Decido di contare anche i chicchi spezzati, purché non siano troppo piccoli. In questa situazione, in questa performance con camice bianco e silenzio, posso considerare etico contare i chicchi spezzati? Come decido quando sono troppo piccoli per essere contati o abbastanza grandi da non essere scartati? La mente è un ginepraio di domande.

E all’improvviso mi arriva il pensiero. Comprendo e rido. Non ha alcuna importanza! È solo il processo in cui sono immersa che conta, qui e ora. È esilarante questa epifania, mi rende libera. Sono solo io, qui – ora, in questo spazio, seduta a contare, da sola eppure connessa con gli altri, quelli che come me contano in silenzio con gli occhi abbassati e quelli che in modo clandestino sono entrati e ci osservano, e anche con questi sedili di legno e con questa stanza dalle grandi finestre e oltre, con gli uccelli che ancora cinguettano e con lo spazio, lo spazio, la luce. Siamo qui, come questi chicchi di riso insieme e divisi. Una moltitudine di grani differenti.

Il tempo non ha più dimensione. Contare diventa leggero, semplice, veloce. Quel che importa è soltanto la gioia e questo nuovo pensiero.
Io – sono – questo.
Sorrido e conto, io conto.

Lenticchie: 2584
Riso: 6504

Pubblicato in ARTICOLI, Autore | Contrassegnato | Lascia un commento

L’ESPERANTO IN ITALIA di Carlo Minnaja

Carlo Minnaja è uno degli esperantisti più noti. Matematico e storico, di cultura umanistica, egli è autore di numerose pubblicazioni, fra cui – impegnativo volume –  una storia della letteratura esperantista “Historio de la esperanta literaturo”, scritta in collaborazione con Giorgio Silfer, altro geniale eclettico autore e organizzatore.
Carlo Minnaja firma anche un prezioso vocabolario italiano-esperanto.
Il libro che qui proponiamo, che si può scaricare o leggere online in italiano, è un panorama oltremodo interessante. Si scopre presto che ne sapevamo poco e che sull’Esperanto e il suo evolversi ci sono tutt’oggi in circolazione tante idee false o sbagliate.

Lo trovate qui

 

 

Pubblicato in ARTICOLI, Autore | Contrassegnato , | Lascia un commento