LA SOCIETÀ SEGRETA (da “Annuvolata” romanzo) di Giuseppe Campolo

Cap. VIII (frammento)

Alla mia finestra, la neve attanagliava l’inquieto capriccio d’un pallido rosa e, mentre lo sguardo vi s’indugiava, io scacciavo commossi ricordi e nostalgie.
Con l’animo pulito come l’arruffato passero che spigolava sul marciapiede, col marziale passo degli stivali, imbacuccato nel mantello impellicciato d’un re, andavo a incontrare Melckitsedek. E come se gli spiccioli uomini godessero, per indirette vie, il riflesso merito dell’evoluzione, benedicevo in cuor mio chi mi passava accanto.
Gli studenti, impiegati a tempo ridotto alla distribuzione dei libri, stante il poco movimento della mattinata di freddo, mi rivolsero la parola desiderosi di conversare. E quel che piú trovarono interessante fu che avessi una casa tutta per me; ed essa divenne, ben presto, eletta sede d’incontro per mezza università.
C’era chi s’indugiava fino a notte e, dopo che m’ero messo a letto, mi parlava finché non mi fossi addormentato; poi usciva tirandosi la porta. C’erano i mattinieri che mi svegliavano portando il caffè nella tazzina termica e mi mettevano fretta per uscire. Venivano singolarmente, a gruppi, a frotte.
Poi, per i tanti rimproveri di chi non mi aveva trovato e le tante visite preannunciate, non potei piú quasi assentarmi nemmeno per un’ora. Gli anarcoidi frequentatori della mia casa erano diventati l’oggetto di tutto il mio impegno. Attraverso me, c’era tra loro un intenso scambio d’idee. Si discusse d’ogni problema planetario con l’ansia pura di trovarvi soluzione. Tornava sempre accusato il potere d’interessata malizia.
Fondammo quindi una società segreta (che chiamammo La sacra truffa) i cui membri dovevano avere il compito di perseguire l’interesse collettivo, usando la furbizia insospettabile di simulare sempre un interesse personale; velare di demagogia ogni idea che può sottrarre, all’appiglio del potere, un nodo che è destinata a sciogliere, o un conflitto che può comporre. Progetto ingenuo e ormai obsoleto, ora che al divide et impera è sostituito il progredito imperativo d’unire il mondo per definitivamente dominarlo. E tuttavia è, tuttora, non privo di fascino immaginare di poter spingere dall’interno (da posti chiave, raggiunti non per ambizione e massonerie arriviste, ma per un segreto e nobile anelito) le potenti ‘personalità giuridiche’ esistenti, fino ad attuare davvero i fini dichiarati dai loro statuti, pretesto della loro costituzione. È la prima società segreta che si conosca al mondo senza nessuna necessità d’organizzazione, non essendo soggetto beneficiario. Ogni membro è accolito e gerofante. A sua discrezione e a suo rischio può insignire degli astratti titoli di ‘Principe del Risanamento’ e di ‘Cavaliere Astuto’. Non c’è gerarchia, non ci sono ordini, cariche e processi. Nessuno sa come si diffonda, dove serpeggi, dietro a quale gesto d’associazioni, di chiese, di consigli e parlamenti operi in maniera determinante o si areni.
Se sia cresciuta o morta sul nascere, lo ignoro. Ma certo è che, tra il salotto e la camera da letto, incontrai tante belle intelligenze da rendermi un inspiegabile mistero come la società, nel suo complesso, possa esser cosí stupida, come possa passivamente soccombere a ogni vessazione e l’individuo, per sottrarsene, non trovi altre risorse che industriarsi a mascalzonare.
Cercavo ancora una logica che autorizzasse l’ottimismo per il futuro, malgrado il fallimentare disegno della storia, quando giunse il carnevale e i miei amici approntarono una festa. E mentre la rossa Loretta sfilava il maglione, accaldata dal ballo, e ora lo protendeva davanti alla sua testa come un tunnel per privati sogni, mi ci affacciai e le dissi: “Ho fretta di consumare la vita”. Nella gialla luce che traspariva, fermò un lampo blu dei grandi occhi; e sgusciò sbuffando, colta da esagerati effetti del caldo.

 

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