IL PECCATO ORIGINALE ovvero DIO È UNO SCRITTORE di Giuseppe Campolo

I più intelligenti, come i fessi, sono spesso i più indebitati e di minor successo.
Essi sono riflessivi e, se si attengono ancora a leggi di natura, queste sono di categoria più alta, che astrae ahimè dall’istinto di predazione.
L’uomo di Neanderthal era più intelligente del Sapiens, ma mancava di furbizia e soprattutto di malizia, non era possessivo e non teneva a freno le donne sue dalle bianche carni e dai fianchi larghi e possenti, novità accattivante per i Sapiens risaliti all’Europa dalle profondità dell’Africa, che ariani non si potevano dire. Le sedussero o le rapirono, le sottomisero e se ne servirono, godettero della più assortita poligamia e del bene di numerosa prole, rendendo possibile una società sempre più complessa, necessariamente patriarcale.
L’homo con cui ci hanno indotto a identificarci estingueva il suo competitore, privandolo dei ricettacoli del seme e assorbendone i caratteri genetici che gli fecero apprendere la qualità delle azioni, distinguere il bene dal male e percepire il sentimento oscuro che poi si chiamò contrizione. Tale peccato originale, in pratica un parricidio, costituisce il tormento delle generazioni future a quelle, che determinò fratture e stratificazioni nella struttura della psiche di quello che così era diventato “Sapiens Sapiens”, infelice progenie. Il maschio ha cercato di far ricadere sulla forza di seduzione della donna la colpa della violazione dell’albero della vita e del conseguente parto doloroso, castigo dunque che questa aveva meritato, ma che in realtà è la beffa inflitta dall’imbastardito DNA che, se fece l’acquisto del cranio più sviluppato, trascurò di trasferire l’abbondanza dei fianchi che dovevano farlo passare.
Questa è l’ipotesi più benigna per noi, sulla scomparsa del nostro ancestrale collega e fratello, a cui siamo Caino. L’altra supposizione possibile ci fa onta maggiore.
L’uomo neandertalense, dalla lattea pelle e dagli occhi azzurri, non ebbe difficoltà a ingravidare magnanimamente le donne scure e dagli stretti fianchi che gli si offrivano, capaci di dar piacere nuovo e indimenticabile. Anche qui pagano le donne con un parto quasi impossibile, con il consolante compenso però di figli meno bruti. Agli uomini del nord fu chiesto un prezzo più alto ancora: furono massacrati per vendetta e per invidia dell’agricoltura che il nomade predatore non conosceva ancora. Delitto d’onore e primo olocausto, pratica quest’ultima a cui il Sapiens Sapiens era ben predisposto e che ebbe modo in seguito di perfezionare e affinare contro ogni minoranza.
Ipotesi magari entrambe vere, giacché coerenti al fine di estinguere un’intera razza. Forse cornuti, siamo sicuramente bastardi; quelli più Sapiens fra noi, dei gran bastardi.
Avendo definito “ominide” l’essere, pur nostro avo, dagli antenati nostri sterminato, che però affrescava le pereti e le volte delle grotte che abitava, e di cui il flauto ricavato da un osso di sessanta mila anni fa ci racconta della dote del canto e del ballo, ora che la scienza ha accertato che i suoi geni sono per sempre inscritti nell’elica doppia del codice che struttura il nostro corpo, la nostra mente e la nostra psiche, ci si fa sapere che in realtà è in ragione trascurabile di un misero uno, fino a un massimo del sempre poco quattro per cento, ma omettendo di notare che assieme a lui condividiamo il novanta per cento del genoma con i primati. Dunque, fosse l’uno per cento, equivarrebbe al dieci per cento di ciò che è prettamente umano in noi. Il quattro equivarrebbe al quaranta per cento!
L’artista Neanderthal ci contorce dentro, preme come un germoglio oppresso da una terra dura. Nobile esempio di tale accezione di bastardo è lo scrittore.
Se lo scrittore fosse dio, vorrebbe sfuggire alla sua santa pace; dal suo tempo in attesa, nell’increato suo buio, la materia che sfugge e dà luogo alle coordinate del moto, esprimerebbe fragoroso incipit di fuoco, fuso in infiniti pixel di energia materiale, per galassie, stelle e comete. Il suo senso artistico gl’imporrebbe sottendere grandi misteri e giuocare con ambigue allusioni. Per non perdere interesse nei ritmi, distese e sequenze temporali, introdurrebbe l’indeterminatezza del libero arbitrio per le particelle di costruzione, le forme e gli esseri. In favore del suo gusto del dramma, inventerebbe il male e il suo difetto: il bene, di per sé privo di ogni contenuto; ma non ne sarebbe abbastanza soddisfatto: aggiungerebbe gli opposti segni magnetici, il maschio e la femmina, la vita e la morte. E poiché è pure beffardo, ordinerebbe tutto per frattali bluffardeschi.
Dio è uno scrittore. Per lo meno, è fatto a sua immagine e somiglianza.

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