RIVOLUZIONE VERDE di Giuseppe Campolo

«Tu sai ascoltare» disse. Ed è vero, so ascoltare.
Lui mi abbordò, con cenni nervosi d’invito, in quel di via Garibaldi, là dove si apre la piazza del Municipio, chinandosi e sporgendosi dalla sua Jaguar F-type coupé, mentre andavo un po’ zoppicante per il salto da una finestra di giorni addietro.
Con l’istinto del seduttore, mi condusse dove gradiscono le spaesate canterine di Praga, per subire l’incanto della città distesa giù, sul mare.
«Ho raggiunto i 250 km/h, che sensazione!» Battè sul supporto del cambio, come si fa coi cavalli, e poi proferì con un sorriso gaudioso dei suoi perfetti denti imbullonati: «Sembra di essere sul punto di cambiare stato, di levitare, di sublimare. La velocità è qualcosa di bello in sé, sappilo!».
Non mi sorprese la sensibilità alla bellezza per un cultore di archi e architravi e balconi e terrazze e perimetri di bagni e alcove; ma quell’entusiastico apprezzamento del movimento, fatto proprio da un esponente della scienza statica, mi parve bizzarramente contraddittorio.
E ancora non conoscevo la ragione per cui l’artista del cemento mi circuiva con i suoi gesti eleganti.
La sua nobile figura smontò dalla macchina, quasi danzò verso la balaustra; lanciò indietro, verso me, uno sguardo vibrato, per poi appoggiarsi al parapetto e farsi invadere dalla beatitudine. Per non disturbare l’asceta, sarebbe stato doveroso per me andarmene, persino eroico e dimostrativo, ma, stante il piede dolorante, sarebbe stata soltanto una prova di stupidità, punita col dovere affrontare tutta la lunga sinusoide della discesa per il ritorno, quand’anche scartassi le ripide scalinate. Ero di fatto suo prigioniero. E alla fine, martoriato da fitte al calcagno, andai verso quel parapetto che non frequentavo da decenni.
Anche i più raffinati cultori del gusto si abituano a ogni ferita della bellezza. Egli, pur architetto, non disse nulla sull’inopportunità estetica della Madonna, laminata in oro zecchino, su una stele spropositata, come quella del porto di New York che, seppur regge il simbolo opposto: la Libertà, è tuttavia più brutta ancora. E sotto la colonna, nella arrotondata, infinitamente aggraziata punta della falce del porto, in Messina, un enorme orribile muro, detto Bastione di Sant’Anna, porta la scritta benevola e dominante “Vos et ipsam civitatem benedicimus” leggibile dal Ryanair Roma-Reggio Calabria, quando vira per imbroccare da sud l’aeroporto. Per la storia, l’ing. Francesco Barbaro fu l’emerito progettista.
«Pippuzzu, ci crederesti se ti dicessi che ho ideato l’atto più rivoluzionario e al tempo stesso più pacifico?» Certo, se lo trovassi credibile! Ma se è credibile, dubito che sia cosa nuova.
«Dunque fai conto che tutta la gente si mette a fare l’unica cosa che potrebbe salvare il pianeta, ed è un gesto semplicissimo e per niente impegnativo.» Ma dovrebbero farlo tutti; ed ecco che il progetto si rivela incredibile: il mio scetticismo non si smuove. Sentiamo però il resto. «Ho preparato un proclama che sto divulgando il più possibile, ma i media non lo raccolgono. Tu puoi aiutarmi, che hai innumerevoli contatti internazionali, visto che tante persone sensibili e colte, come hai scritto tu stesso da qualche parte, partecipano ai tuoi concorsi.» Nauseante come una persona colta come lui non abbia percezione che una buona ragione non è qualità sufficiente per muovere la gente, e come non abbia idea della miserabilità, non commiserabile, della dinamica psicologica maggioritaria. Un’angoscia così non mi prendeva dai tempi degli esami di Stato.
«Insomma, eccolo!» E tirò di tasca un foglietto per offrirlo.


PIANTATE

Quindicimila scienziati chiedono ai Governi di salvare il pianeta Terra dal catastrofico cambiamento climatico.
Cosa accadrà?
La macchina per porre rimedio forse già si muove, ma è troppo lenta: la burocrazia ci ha torturati, la burocrazia ci finirà!
Prima che tutti gli Stati si mettano d’accordo, ammesso che abbiano capito e vogliano, passerà l’ora ultima per noi.
A meno che non li obblighiamo a sbrigarsi! Il sistema è semplicissimo: PIANTATE. E dimostrate di essere un Popolo.
Vi invito alla protesta più inoffensiva, ma anche efficace e in ogni minuzia utile, che nell’insieme è voce potente, proprio non trascurabile, capace di mettere una fretta assoluta a chi è in sella. Piantate!
Che abbiano piante tutti i balconi. Immaginate il manifesto planetario che andrete dispiegando. Eccome si saprà cosa vogliamo, quando tutte le strade saranno fiorite! Si capirà benissimo.
Nei paesi ricchi e in quelli poveri è ugualmente possibile senza difficoltà. Un seme non costa nulla, una latta, una pentola bucata si può trovare, e pure una palata di terra, ma va bene anche un piccolo buco accanto alla soglia della capanna.
E, oltre a ciò, se potere, diventate Piantatori Occulti. Dovunque incontrate un metro quadrato senza albero, interrate un seme, interratelo dove è stato bruciato, sradicato tagliato, dovunque c’è un palmo di terra brulla. Nelle fessure delle rocce calate un pinolo o un seme di cappero, a vostra fantasia.
Questa guerra senz’armi, promette solo vita e vittoria. È guerra contro nessuno e a favore di tutti. Sii, o Popolo, eroe della pace e della vita.
Sono Giovanni Pietraliscia, un umano reperibile: piantate@hotmail.it


Lessi.
Guardai poi verso quel suo vestito da gran signore di colore marrone mistico; e così gli risposi con vergogna: «Io non so se esiste il Popolo».
Pianto da cinquant’anni, sono uno dei Piantatori Occulti da molto prima che lui li inventasse.
Piantate! Piantate, perdio!

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