SAMIDEANO SI RACCONTA

L’ULTIMA AVVENTURA
Riconosco a malapena – e con riluttanza – i contrassegni temporali di ieri, oggi e domani. Credo invece che sempre sia oggi. Ma non contrariatevi: vi prometto che, quando avrò finito di tracciare le linee generali, spulcerò il mio PC e vi consegnerò anche le date; so che alcuni ci tengono, ma io non ne ho mai granché capito l’importanza, e soprattutto le date (specie quella di nascita) mi disturbano, mi annoiano, mi torturano persino. E devo aggiungere che anche il ruolo dello storico, sacerdote della realtà oggettiva, non mi si addice affatto e mi affatica. Spero almeno sia utile.
Ieri mi convinsi che condividevo con la maggior parte della popolazione l’aspirazione profonda all’armonia sociale, malgrado sembri negarlo la conflittualità che regna a ogni livello, sostanzialmente indotta da un assetto ancora barbaro della società.
Il difficile è trovare il passaggio a nord ovest per aggirare questo continente consolidato della realtà che ci opprime, e della quale occorre una circumnavigazione totale, nelle menti in cui si è concretata la convinzione che la violenza, la coercizione, l’appropriazione, la competizione e la dialettica delle forze contrapposte sia un dettato immutabile e inamovibile di provenienza strutturale; e che gli ideali appartengano agli scemi, i quali nulla comprendono, e ai disadattati, che magari capiscono come va il mondo ma non sono attrezzati per scendere nell’arena.
Per un ribaltamento estremo dei fantasmi insediati, e quasi fusi, in loco delicato, la mente, occorre una leva non dura e non affilata. Desolato di non trovar leve e punti di appoggio di tal genere, ero in preda allo stesso sgomento di quando mi fu dato conoscere gli esiti oscuri delle rivoluzioni, a cui alcuni attribuiscono cause di progresso, consolandosi quand’io ne traggo disperazione.
Forse di leve dolci e possenti ce ne sono tante e il difficile è riconoscerle. Io alla fine riconobbi l’Esperanto. Diventai Samideano; e cominciò l’ultima mia avventura e il tempo presente.

L’AFFASCINANTE ROMANZO
Dell’esistenza dell’Esperanto mi ricordai per caso, quando decisi di mettere a dura prova la mia capacità inventiva, proponendomi di far diventare un unico e organico romanzo testi eterogenei, provenienti da menti che si erano sviluppate in ambienti culturali diversi. Intendevo sperimentare al contempo la disponibilità di artisti, solitamente gelosi del loro copyright, a creare assieme. Occorreva lanciare una sfida agli autori d’ogni dove, e non vedevo come fare se non con un concorso. Ma come diffondere il bando nelle varie parti del mondo? A quel punto mi sovvenni dell’Esperanto. Scrissi all’allora presidente della Federazione Esperantista Italiana, Renato Corsetti, che non conoscevo affatto. Ci incontrammo nel ristorantino della stazione di Cassino, dove chiacchierammo mangiando pasta e fagioli. Egli aveva portato con sé l’inseparabile Amerigo Iannacone, eminente esperantista, editore, prolifico e finissimo scrittore e poeta, della cui collaborazione disinteressata e specialissima ho potuto poi godere, nel mentre che la nostra amicizia diventava profonda, finché la sua laboriosa vita non fu recisa in un lampo dal caso, su un passaggio pedonale. Per un anno rimasi stranito, svenato. Con lentezza, come convalescente quando primavera non giunge ancora, mi risollevo.
Dunque, ai miei due interlocutori piacque il mio progetto e si dichiararono disposti a sostenerlo e diffondere il necessario concorso attraverso i canali esperantisti. I testi che sarebbero giunti in esperanto li avrebbero celermente tradotti una dozzina di volontari esperti, essi compresi, che oltretutto mi avrebbero assistito per la corrispondenza, giacché ancora non avevo intrapreso lo studio della lingua. Il romanzo, pubblicato dapprima in italiano, è stato successivamente tradotto e pubblicato in Esperanto. Questi sono i letterati che hanno assunto l’estenuante compito: Enrico Brustolin, Renato Corsetti, Silvia Garnero, Amerigo Iannacone, Gigi Montalbano, Nicola Morandi, Sergio Maria Pisana, Nicolino Rossi, Graziano Ricagno, Silvio e Alessandro Stoppoloni, Luciano Viviani. Nell’ambito esperantista, lo constatavo e ne ho prove continue, è sorprendentemente vivo lo spirito generoso di lavorare per uno scopo che trascende il lucro, con sacrifici di tempo e fatica che non importa se resteranno anonimi. Renato Corsetti non ha mai smesso di soccorrermi in ogni momento, e ho potuto conoscere la forza psichica e morale di un uomo pragmatico e che punta dritto al suo obiettivo come un ago magnetico. Mai avevo visto uno così. Un eroico stratega.
Avevo dunque trovato dei miei simili!
Samideano (amico della stessa idea) consueto sinonimo di esperantista, fu sostantivo che mi affascinò subito, tanto da indurmi a farne il personaggio protagonista del romanzo e, alla fine, assumerlo come mio nome d’arte per firmare il libro. Mi ci affeziono sempre più, caricandolo di significati e affidandogli sognanti fantasie; ma è alquanto rimarchevole che sempre più persone in esso mi riconoscono e Sam, come nel romanzo, mi chiamano affettuosamente.

Questa che segue è stata la provocazione, divenuta poi parte integrante del libro, agli ignoti probabili autori, all’interno del bando del concorso denominato “Chi ha conosciuto Bosco Nedelcovic?”, titolo poi del libro. (qui il sito di allora)

Molti anni fa, quando ancora il web non signoreggiava, mi giunse un ciclostilato curioso e interessante. Era firmato da un certo Bosco Nedelcovic. Esprimeva una filosofia della libertà individuale ampia, fuori dagli schemi, ma affascinante per una certa rispondenza a un anelito confuso, prepotente e frustrato che scalpitava nel mio animo giovane. Traspariva una comprensione psicologica non comune e proiettava il miraggio di una società utopica di profonda e reciproca comprensione fra gli esseri. Certo non poteva tratteggiare ogni aspetto del vivere civile in poche pagine; e dunque qualche interrogativo lasciava. Perciò decisi di scrivergli, per formulare alcune domande e, mi ricordo, per enunciare quel che ognuno di noi avrebbe dovuto pagare di lacerazioni psicologiche all’uguale diritto degli altri di accedere a ciò che egli indicava, con mia grande partecipazione, come riconfigurazione sostanziale dello spazio soggettivo.
La risposta arrivò, abbastanza repentina. Non era proprio Bosco a scrivere, ma una giornalista che trovava le mie osservazioni di ‘particolare sensibilità’ e pertanto voleva conoscermi. Non riuscii mai a capire se Nedelcovic fosse un personaggio inventato dalla stessa Sandrina Ognali, al fine di svolgere una ricerca sociologica, oppure, come disse lei, un autentico signore slavo, che aveva soggiornato per un breve periodo in Italia e che ella aveva avuto la gioia di conoscere e da cui aveva ricevuto i contatti, tra essi il mio, e gli incartamenti, prima che ripartisse. Quale influenza abbia esercitato sulla primaverile mia mente e sul modo di sentire, la frequentazione di tale serenissima signora, è una storia lunga, delicata e complessa, anche se non posso affermare sia un’altra storia, come si usa dire quando si vuol tacere. È un intreccio che ancora dipano nel brusio non so di quanti e quali piani della psiche. Mi domando se mai Bosco sia ritornato. Se ancora adepti, o illuminati che qui abbia lasciato, coltivino come me una nostalgia di quella società che egli credeva possibile e che, di là dell’unico esempio della giornalista, non ho mai, in nessun altro umano, visto comparire. E piuttosto constato come le libertà degli individui siano sempre piú in contrasto, e dunque di segno opposto, a quelle da Bosco proiettate. Forse Bosco Nedelcovic era pseudonimo coniato, cosí oso credere, da colei che m’insegnò a slacciare interne tensioni e che forse è ormai per tutti perduta. Oppure egli era un profeta inascoltato, che poi si volse a vita ascetica. La scomparsa di entrambi mi lasciò alieno; e fu come la dichiarazione universale che, per noi, qui, non c’è speranza. Ed è, questo, come tutti sanno, luogo di violenza e degrado. Pessimismo che lacera radici di vita e contro il quale eccomi ancora a combattere. Qualche volta, arrivando a dubitare dei passati accertamenti, torno a bussare alla porta di Sandrina. E trovo sempre incomprensibile che nessuno la ricordi, come inaccettabile che mi dia la stessa disperazione. Vorrei poter dire: Bosco Nedelcovic non ci ha mai lasciati o, al peggio, è tornato. Vorrei poter andare sulle tracce della sua identità e del suo insegnamento. Se qualcuno avesse conosciuto Bosco o Sandrina, o ne avesse udito parlare, non me lo taccia ancora. E chi dovesse custodire anche una sola frase a loro attribuita, graziosamente me ne renda partecipe.
samideano@hotmail.it

Arrivarono, numerosi, lunghi racconti, dando molto lavoro ai traduttori. Alla fine scelsi i lavori più fantasiosi. Vi tessei intorno e dentro, senza alterarli, e permettendo al lettore di capire (quando ciò non disturbava la narrazione, ma sempre concordando con lo scrittore), per differenza grafica, dove aveva messo le mani Samideano.
E non dirò mai abbastanza bene degli autori che collaborarono, e con cui ancora oggi fraternizzo. È stata gioiosa esperienza creativa di due anni. Un lavoro massacrante e bello! Ne venne fuori un “affascinante romanzo”, come scrisse il critico Anna Maria Crisafulli Sartori, che allora conoscevo appena e ora mi gratifica della sua affettuosa amicizia, fino a essere una dei fondatori di Sicilia Esperantista. “Chi ha conosciuto Bosco Nedelcovic?” dipana un’eretica realtà estesa in più mondi, di cui talvolta descrive originali scenari psicologici, fisici e metafisici. (Presentazione a Palermo)

GLI ESPERANTISTI SON CAVALIERI
Come quasi tutti, ho studiato a scuola inglese e francese; ma, come pochi, con scarso profitto. Sprovvisto di buona memoria, non volevo che parole straniere affollassero la mente, disturbando la buona gestione della lingua madre, che è musica e danza. Ed è come pensate: brutta sindrome illusionale mi possedeva, contro cui ora lotto, in favore dell’Esperanto, con successo che potrebbe essere migliore. E mi logora, come tutto ciò che è mediocre.
Le relazioni internazionali che mi aveva fruttato oltre ogni aspettativa “Chi ha conosciuto Bosco Nedelcovic? / Kiu konis sinioron Bosko Nedelkoviĉ?”, pubblicato nelle due lingue, erano diventate così complicate, dovendo ricorrere agli amici traduttori, e alla fine tanto mortificanti, che dovetti capitolare: m’inginocchiai a Zamenhof, con la mente, come un pellegrino bisognoso e implorante. Tuttora un fluttuante lessico turbina e mi confonde. La lingua facile mina la mia sicurezza; è difficile tuffarmici dentro e farmi permeare il pensiero, la personalità, la coscienza; avventuroso, come lo credevo, il mio io teme la trasmutazione! Costretto ancora a tradurre me stesso, timoroso di affrontare la conversazione viso a viso, fuori della carta e senza dizionario. Una durezza mentale che mi stupisce e mi mortifica.
E così li capisco, capisco tutti coloro che, per sindromi simili, si sgomentano davanti al pc, per esempio, o all’Esperanto stesso, che andrebbe studiato preferibilmente da piccoli, a scuola, o meglio fra le braccia delle madri. Giacché di esso l’umanità ha assolutamente bisogno. Per sottrarsi ai domini culturali, per mettere fine alla babele.
Gli esperantisti sanno bene a quale mutazione del cuore induca chi afferra l’interna idea che all’Esperanto fa anima.
Gli esperantisti si domandano, al pari di me, perché mai una così evidente possibilità di fraternizzare fra i popoli non sia ancora esplosa e non dilaghi; perché, insomma, i milioni che perdono tempo in giochi inutili, che riecheggiano gli allarmi sociali e ambientali, contribuendo allo schiamazzo generale inoperoso e vile, non trovano gratificazione nell’apprendere una lingua ch’è speranza per tutta l’umanità. Più ancora, perché la gente più colta non afferra l’opportunità di elevare l’atteggiamento morale della società, proponendo ai propri figli lo studio della lingua, la cui genesi è storia anche affascinante, che affonda radici nei millenni. E perché i più intelligenti non si schierano dalla parte di chi si adopera per sanare, e trovano appagante sentirsi profetici per aver capito che la società si sfascerà, le nazioni confliggeranno, la finanza affamerà sempre più i popoli, l’equilibrio climatico collasserà e miliardi di persone moriranno. Perché mai la massa della popolazione vede chi propone soluzioni pacifiche come nemico o stupido? Forse perché osa chiedere responsabilità e impegno? La caratteristica umana più comune dunque è l’ignavia? La gente crede che l’unica cosa che può compensare l’opera è il soldo? Ma questa è proprio la mentalità dei servi! La decantata nobiltà del lavoro sta nel lavoro disinteressato, filantropico, lungimirante e saggio. Ed ecco perché, ai miei occhi, gli esperantisti sono dei cavalieri, che per definirli meglio ho chiamato “Cavalieri della Pace”. Senza spada, forsanche senza scudo.

LA CIVILTÀ DEL POI
La capacità degli esperantisti di organizzarsi è rilevante. Centinaia di migliaia, pochi milioni o tanti, non riesce appurarlo, costellano tutti gli angoli del pianeta di gruppi interconnessi, nutriti o esigui, di un’efficienza che non ha eguali. Maestri di squisite relazioni, dell’espressione cortese, attendono nel loro salotto o al tavolo da cucina il volenteroso che bussa per ricevere l’alba futura. Da cento anni quest’amoroso soccorso perpetua una specie preziosa e tenace, che lentamente cresce di numero, d’iniziative e consapevolezza. Mi ha commosso l’umiltà dei famosi e grandi, in lingua e arte: fui trattato come un loro pari, pur novello e bisognoso di tutto.
Un popolo amabile, una civiltà del poi in un mondo ignaro alla deriva.
Un nuovo ballo fa il giro del mondo in poche ore; in un minuto vien dichiarata guerra, per cui milioni di ragazzi sono pronti a morire.
Ma l’Esperanto – riconosciuto propedeutico all’apprendimento di altre lingue, perché miracolo di logica evidenza delle parti del discorso, semplicità grammaticale e geometrica costruzione sintattica, oltreché formidabile veicolo didattico di un alto ideale filantropico, accolto dall’UNESCO che fa da decenni appelli agli Stati affinché l’introducano nelle scuole – trova ministeri pronti a sollecitare i direttori didattici, ma senza fornir loro fondi. Nessuno si preoccupa di creare i professori di questa lingua, tranne le associazioni esperantiste, che non potranno fornire loro una cattedra a fine corso.
Da allievo a docente: volontario bussai nelle scuole. Più volte respinto, trovai una classe a Santa Teresa di Riva, appoggiato dalla maestra Maria Catena Miuccio, diventata poi esperantista; un’altra a Sant’Angelo di Brolo, dove la dirigente era ostile, ma i buoni auspici del sindaco, Basilio Caruso, per qualche anno mi trovarono spazio. Per quattro anni ho insegnato nella scuola media “Alberto Stagno D’Alcontres”, affettuosamente accolto dal signorile preside Angelo Cavallaro, poi dalla dirigente che gli succedette, Patrizia Italia, e sostenuto dalle professoresse, che con me hanno poi studiato la lingua, Rosalba Mancuso, Denise Cavallaro e Silvana Imbesi. Quest’ultima ne è diventata una buona insegnante. Dimenticavo: ho avuto una classe anche nella scuola media di Merì per un anno. I bambini apprendono con grande rapidità; dopo quattro o cinque lezioni, sono in grado di tradurre correttamente con l’ausilio del piccolo dizionario delle radici di Vassella e Corsetti. Credo di aver iniziato oltre 500 allievi. Tanti! Pochissimi per l’obiettivo di una lingua unica per tutti, libera per un’umanità libera. E soprattutto, con pena, mi domando quanti di essi lo coltiveranno: per lo più ci si adatta all’ambiente. Ed è l’ambiente che va cambiato.

CAMBIARE L’AMBIENTE
Gli esperantisti perpetuano sforzi generosi per la divulgazione della lingua universale e per il supremo obiettivo per cui è stata creata: la pace. Si tratta di un cambiamento culturale radicale, propedeutico a un livello di civiltà superiore.
A pensarci, poiché la guerra sembra così insensata e degna soltanto di orde barbariche, stupisce come ancora non sia debellata e non sia invalsa la generale consuetudine di discutere e concordare le decisioni per il bene comune. Deve esserci una ragione che va al di là degli interessi veri e propri, visto che in effetti nessuno in realtà alla fine se ne giova.
Sospettiamo che si attribuisca alle necessità di efficienza, ai fini della guerra, un benefico e irrinunciabile stimolo al progresso, e che la pace sia considerata noiosa e regressiva.
Deve esserci, mi dicevo, sia pure ancora nell’iperuranio atono e diafano, la giusta parola, la giusta azione che slacci il sacco in cui è rinchiuso e compresso Esperanto, impetuoso re dei venti. Quali orecchi fini possono udirne l’attutito fruscio melodioso?
Mi risposi subito: gli scrittori, i poeti, gente abituata a riflettere e creare nuove realtà mentali. E sapevo già come provocarli, invitarli, chiamarli! Diventai un organizzatore di premi letterari.
“Poesia da tutti i cieli”

Socio Onorario

Ed ecco assieme, in una Giuria, letterati di chiara fama, non solo esperantisti, alcuni dei quali considerati dei veri e propri geni, disposti a leggere e valutare centinaia di poesie che pervengono da tutta Italia e da ogni continente. Giuseppe Campolo (segretario), Renato Corsetti, Anna Maria Crisafulli Sartori (presidente), Amerigo Iannacone, Ella Imbalzano Amoroso, Carmel Mallia, Carlo Minnaja, Luigia Oberrauch Madella, Nicolino Rossi, Nicola Ruggiero. Le poesie pervenute in Esperanto, per renderle leggibili ai membri non esperantisti, ecco questo scalmanato tradurle man mano arrivano. I commissari ricevono da me un unico file con le poesie anonime numerate, in due colonne, i testi affiancati nelle due lingue. Gli esperantisti tra essi possono leggere l’originale in esperanto, oltre la mia traduzione, gli altri tutto in italiano. Un sistema di schede, alla fine affiancabili, mette in condizione me, autoescluso dalla valutazione, di sommare i voti e produrre la graduatoria da cui escono i vincitori. Migliaia, forse decine di migliaia, attraverso questo concorso, in Italia, apprendono qualcosa di più della lingua universale o addirittura per la prima volta ne sentono parlare; qualcuno decide di studiarla.
Premiazione, per i primi tre anni, in ottobre, nel teatro comunale di Sant’Angelo di Brolo; il quarto anno a Terme Vigliatore, nel salone del Parco Augusto, e nei cui appartamenti vengono alloggiati gli ospiti dall’Italia e dall’estero. Segnatamente i Cavaliere di Sicilia Perla Martinelli, di Spagna, e Carmel Mallia, di Malta. L’esito qui.
Poi il buco: ci fu sottratto Amerigo. Non so se si può intendere il mio smarrimento, il senso dell’inutilità di tutto. Non ne voglio parlare; non so quale forza mi ha obbligato a ricominciare.
Accade sempre che incontro qualcuno che mi soccorre quando ho una difficoltà o non ho la preparazione per risolvere un problema. E ora, la Provvidenza sa che mi occorre essere sostituito, almeno in parte? Aiutato.

RICERCA DEI SALVATORI
Chi, meglio dei poeti, potrebbe capire la squisita forza della corale richiesta della pace, attraverso il disegno poetico dell’Esperanto? Eppure nemmeno essi saranno i compositori per tale orchestra: sono degli adulti, con tutti gli obblighi, incombenze e stanchezze proprie di questa condizione.
Così come sono largamente schivate, da miseri e potenti, la fratellanza, la giustizia sociale, l’agiatezza diffusa, la collaborazione, è scansato l’Esperanto. Deve, dunque al più presto, entrare – e mi ripugna dirlo, ma confido nella sperimentata moderazione e saggezza dell’apparato scolastico – obbligatorio nelle scuole come seconda lingua, sin dalle elementari. E questa necessità sociale gli adulti possono capirla: essi, infatti, nell’educare ricorrono all’imposizione con dissimulato amore, quando è il mezzo più spicciativo ed efficace per ottenere un risultato d’importanza vitale. E qui, cari miei, nemmeno lo sfascio del clima si risolverà se non si costruisce un’armonia planetaria di cuori e menti. Non ne sentite l’urgenza?
Molte più persone, che i praticanti l’Esperanto, possono riconoscere facilmente il valore di una lingua non etnica, universale, ravvisandola nell’Esperanto, se non devono fare sacrifici personali. Ecco che così si concepisce un nuova e più ampia identità di esperantista: colui che desidera consciamente l’avvento dell’Esperanto e della pace che l’unificazione ideale dei popoli renderà obbligatoria. Oh, se questo desiderio diventasse universale! Sicilia Esperantista si informa a tale concetto, creando un ponte fra l’élite degli esperantisti veri e propri e tutti coloro che all’ideale esperantista si aprono, almeno con il cuore. Essi renderanno universalmente possibile, e conveniente a chi cerca suffragio, l’adozione dell’Esperanto nelle scuole.
Moltissime sono le Associazioni che sposano l’ideale di pace e giustizia che è pure dell’Esperanto. Se esse, una buona parte di esse riconoscesse e affermasse esplicitamente la cruciale importanza della lingua universale, esprimerebbero una tal forza vocativa che potrebbe somigliare a un ordine. Si proverà un efficace invito.

I PATROCINI
Avrete notato che questo nuovo sito de “I concorsi di Samideano” è alquanto diverso dal precedente, non soltanto per la grafica. Per esempio, non abbiamo chiesto nessun patrocinio. Non godiamo della vostra fiducia? Ci deve avallare qualcuno?

LE CITTÀ ESPERANTISTE
Basilio Caruso sindaco.
Per “Poesia da tutti i cieli”, dispose in mio favore l’uso gratuito del teatro comunale. Redasse la delibera, la propose alla Giunta che l’approvò: Sant’Angelo di Brolo “Città esperantista”. Seguirono Librizzi, Castroreale e Terme Vigliatore. Numerosi altri sindaci dei Comuni contattati erano ben disposti a tale delibera. Confortevole aver trovato donne e uomini molto colti, lucidi e animati dall’amore per la loro terra. Ero e sono convinto che un’area di Comuni Esperantisti abbastanza vasta possa attrarre l’attenzione e magari portare turismo esperantista e di curiosi d’ogni dove, con l’effetto che gli utilitaristi si destino e i giovani trovino una ragione pratica per imparare l’esperanto d’accoglienza. In effetti alcuni cittadini hanno seguito un corso per l’apprendimento della lingua.
L’impegno che mi avrebbe richiesto continuare il pellegrinare per le cittadine dei Nebrodi – pena che ben conoscevo – e le ingenti spese per andare e venire per un incontro frettoloso e non immediatamente risolutivo, superavano le disponibili forze finanziarie e fisiche. Tuttavia ritengo ancora sia strategia coadiuvante valida per l’obiettivo finale di indurre il governo a introdurre la lingua nelle scuole; pertanto ancora potrebbe essere perseguita in ogni Comune della Nazione, sol che ci fossero persone disposte a operare nella propria città, approfittando dell’esperienza che ho accumulato e offro.


ULTIMO PER ME,
ANCHE  QUESTO È UN ROMANZO
CHE SCRIVEREMO ASSIEME.
NON SULLA CARTA. NON PIÚ SULLA CARTA. E OGNUNO PUÒ ESSERE IL PERSONAGGIO CHE VUOLE.

 

 

 

SANT’ANGELO DI BROLO

LIBRIZZI

CASTROREALE

TERME VIGLIATORE

 

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