IL NATALE ANTICO di Andrea Rossi

Negli anni trenta e quaranta le disponibilità finanziarie non permettevano di realizzare un modello di Natale contemporaneo, completo ma corrotto da un consumismo dilagante. Le giornate di festa, all’epoca, erano caratterizzate da una sentita attesa, da un affetto che coinvolgeva le famiglie dei paesi e da un clima di serena semplicità.

La Vigilia di Natale era sovente trascorsa giocando a tombola insieme alle famiglie del paese, nell’attesa della partecipazione alla S. Messa di mezzanotte recitata in latino.

Gli abitanti dei paesi di periferia si riunivano in gruppo e, muniti di acetilene, lampade ad olio o a petrolio, percorrevano in preghiera, al freddo e al buio, la mulattiera che permetteva di raggiungere la chiesa. Il parroco, al loro arrivo li accoglieva nella sua cucina, per farli riscaldare prima dell’inizio della celebrazione. Al termine della funzione, qualche sacerdote donava alcune caramelle ai bambini presenti e successivamente si procedeva con la benedizione del presepe.

Nella maggioranza dei casi “l’albero di Natale” era senza illuminazione, costituito da rami d’alloro, di pungitopo o ginepro e addobbato con arance, mandarini, mele, alcune caramelle o piccoli torroncini.

Nelle famiglie più benestanti era possibile trovare un “Babbo Natale” o un oggetto di cioccolata. La raccolta del muschio nei boschi creava l’ambiente ideale per inserire qualche statuina e preparare piccoli presepi. La nascita di Gesù, la comparsa della stella cometa e l’arrivo dei Re Magi donavano un’atmosfera particolare a quei giorni diversi dagli altri.

Le letterine che si usavano scrivere per l’occasione contenevano gli auguri rivolti alla famiglia, senza alcuna richiesta di doni. L’arrivo di “Gesù Bambino” era molto atteso dai più piccoli che, al risveglio, correvano sotto l’albero, di anno in anno, per raccogliere, in modeste quantità, torroncini, arachidi, noci e fichi secchi.

I bambini più fortunati potevano trovare una bambola di pezza, un cestino di dolci, una scarpetta di cioccolato o comuni oggetti scolastici come quaderni. I nonni, talvolta, offrivano ai propri nipoti i regali più belli come ad esempio una cartella, un mantello di panno per la scuola o una figura di pezza.

Momenti di vera gioia avvolgevano quei giorni che, davanti agli sguardi del nostro tempo, apparirebbero tetri e inconcepibili da vivere. La ricchezza del saper apprezzare ogni cosa avvolgeva una realtà ormai sconosciuta.

I genitori, a causa delle scarse condizioni economiche, non si scambiavano doni e prestavano molta attenzione, nei casi frequenti di famiglie numerose, a distribuire regali uguali ai propri figli. La mattinata si dedicava alla preparazione del pranzo, un importante momento comunitario che si svolgeva insieme ai parenti. I pranzi avevano solitamente come primo piatto i ravioli, seguiti da un secondo a base di pollo (o bestiame allevato) e da una forma di classico pandolce preparato in casa che doveva durare fino all’Epifania. I protagonisti di fine pasto erano i bambini che, con la recita della poesia natalizia, ricevevano qualche centesimo per il motto “E le feste non sono liete / se non scorrono le monete”.

Alcuni dolci venivano preparati per i parenti invitati e qualche famiglia impreziosiva la tavola con biscotti raffiguranti le varie forme a tema natalizio. Nel corso della cena, generalmente, erano serviti piatti di pasta in brodo, un po’ di tacchino e la giornata terminava allegramente con il canto dei vespri.

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