A persone di alta cultura, a cui basta un accenno per farsi un quadro largo e produrre una riflessione critica, continuo a porgere, in chiave profana, una lettura disincantata dell’apparente mondo naturale e umano. Non intendo intaccare nessuna fede o destituire di realtà la trascendenza, peraltro degnissime dimensioni di prospettiva terrestre.
Non sarà certo sfuggito ad Einstein che la Relatività non può risparmiare nulla, neanche il pensiero, nel bacino finito di cosmo, il quale non può permettersi un qualunque valore che non sia circoscritto. E come, inserita in tal contesto, può aver luogo una Teoria del Tutto? Una sorta di Verità Ultima del nuovo Medioevo!
La Verità, mitizzata strumentalmente come Assoluto conosciuto e detenuto in esclusiva, esige violenza per l’interesse d’imporla. Essa è concomitante al potere che essenzialmente mistifica e dà autorità a ciò che corrompe, per straziare ciò che non riesce a dominare. Chi ha creduto di comprendere che sia l’ordine naturale che quello nostro della psiche fondano ogni sopravvivenza sulla forza, disconosce ogni valore morale, poiché ne è logicamente incompatibile. Essi sono i delinquenti di ogni giorno, dai piccoli predatori fino ai Potenti e ai Grandi della storia, insomma tutti quelli che sono psicologicamente pronti per concepire la pratica e l’addestramento alla violenta morte. E questa è la prima categoria squisitamente umana: i Pastori.
Il potere, per intrinseca natura, non può essere morale, può solo imporla a fine di dominio, nello sforzo di occultare i termini crudi della questione. Tutti gli altri, i dominati, sono condannati a sopravvivere per quotidiani, piccoli compromessi con se stessi e la società, visto che hanno bevuto la favola che la forza è peccato per tutti tranne per chi il peccato combatte. La gente comune, la stragrande maggioranza delle persone vive nella colpevolezza dell’istinto di sopravvivere. Sono gli asserviti: il Gregge.
Chi si domanda se sia mai possibile sfuggire a questa trappola, se lo domanda da millenni; e ha confidato quasi sempre nelle giuste regole. Fior di pensatori, come Rousseau, colposo maestro di bilancia, molto amato padre della nostra falsa democrazia. Ma il suo Contratto Sociale non potrà mai risolvere la questione: esso ammette il sistema della contrapposizione degli interessi che vuol frenare appunto con delle regole. Queste saranno sempre disattese, da alcuni disinvoltamente, dagli altri con interno tormento o incontrando la repressione. Nessuna ribellione risolve il problema alla radice: si resta nello stesso stagno. Ed ecco che nasce il pacifismo e tutte le concezioni, più o meno utopistiche ma importantissime avanguardie, che tentano nuove armonie. Ma neanche questo è storia recente. Questo filone sottilissimo, che ora si va inspessendo forse per necessità impellente, scorre da lontano, passa per La città del sole e il cuore dei costruttori di speranza. Sono la terza categoria umana: i Saggi.
A questo punto devo chiarire che non sono un entusiasta e niente affatto fanatico di qualcosa, nemmeno dell’Esperanto come qualcuno invece crede. Lo trovo però significante, nell’attuale nostro contesto, ed emblematico. Non solo veicola il profondo sentimento della fratellanza, ma per la prima volta la attua in concreto. Gli esperantisti hanno superato, nella loro quotidianità!, razze e credenze, senza alcun problema pratico o mentale. Sono un pacifico popolo di popoli. Un esempio concreto, che trascende la lingua; è qualcosa di più che una lingua: una strategia. L’unico riuscito insegnamento di unificazione senza impero (gli interessi umani non sono contrastanti ma collettivi). Un ribaltamento delle esperienze storiche. Una prima breccia nella stia. Un esempio che i problemi umani sono risolvibili, se ben affrontati.
Non so se si occulta scientemente: la guerra e la fame (mille volte inutilmente rappresentate nelle cause ed effetti dagli artisti, che hanno già detto tutto e non fanno solo spettacolo per sollazzare) non sono situazioni indomabili come la stupidità o la malvagità. Non si risolvono con la pietà, verso cui siamo incanalati, per incontrare la nostra impotenza e fruttificare in rassegnazione. Sono soltanto un problema tecnico, scientifico e organizzativo, da studiare con freddezza. Chi organizza maree di uomini in esercito, cosa non può organizzare?
Perché vi dico queste cose, che alla fine tutti sanno? Perché tutti sanno e nessuno si muove. E quei pochi che lo fanno sono soli (e non dico disperati, perché è gente che non dispera, ed è dura, a prova di sferza, corda e fuoco). Essi vivono il dramma di tutti, ma perfettamente coscienti e senza distogliere lo sguardo. Ecco cosa significa essere in croce! Come se fossero padri addolorati per aver creato mortali.
IL RESPIRO DI BRAMA di Giuseppe Campolo
2 risposte a IL RESPIRO DI BRAMA di Giuseppe Campolo
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Riflessioni, quelle riportate nell’articolo, da cui traspare grande amarezza: il potere, la guerra, la fame… Queste ultime, in particolare, hanno sempre fatto comodo ai detentori del potere, e così sarà sempre, purtroppo. Considerazioni finali perfettamente condivisibili.
L’articolo è così accattivante, da leggersi tutto d’un fiato.
Per avvertire poi, a rimeditarlo, l’esigenza di rileggerlo e non una sola volta. Questo perché i riferimenti culturali, filosofici, linguistici in esso contenuti, sono tanti e tali che non potevano essere “metabolizzati” nel breve tempo di una prima lettura.
I pensieri e le strade che l’autore apre continuamente vanno dalla filosofia greca, e non solo, al pensiero illuministico, dalla fisica alla metafisica. Giungle dalle quali risulta pressoché impossibile uscirne indenni, una volta che ci si è addentrati.
Eppure, alla fine, l’impressione che resta, e che faccio mia, è quella, più che di un’oggettiva e conclamata verità, di una stimolate opinione sulla condizione umana – “Doxa” direbbe Platone (e come si sa, nella gnoseologia greca classica il termine è usato per designare quella forma di conoscenza che, basandosi sull’opinione soggettiva, non possiede la certezza obiettiva della verità) – che apre a ben più ardite e sistematiche ricerche filosofiche per cogliere l’Idea, capace di far andare quel tanto … più in là, nella comprensione del Tutto e nel superamento del dramma esistenziale, a cui l’autore sembra far continuo riferimento, sopportandone con estrema consapevolezza e dignità il peso.
Massimo Zona
Aggiungerei solo un’annotazione al pensiero di Massimo: per “muovere all’azione”, questo sembra il messaggio del testo, non è sufficiente il concetto di potere. Il potere, per definizione, “muove da fuori” gli individui, imprime un movimento forzato e ad esso sono connesse le relative sanzioni. L’autorità, come principio e come archetipo, indica il movimento opposto: “muove da dentro”, nella libertà. Si riconosce autorità a chi la conquista con testimonianza e sacrificio, a chi sa, in altre parole, che l’individuo è Persona. Dobbiamo forse riscoprire l’autorità per significare la decadenza del potere?
Alberico Martino