LA RIBELLIONE MELODIOSA di Giuseppe Campolo

L’allora giornalista d’inchiesta del settimanale ABC, che avevo conosciuta quando ancora ero poco più che un ragazzo, e poi divenuta mia adorabile amica finché ascese, la contessa Sole Sandri Orgnani una volta venne a Messina assieme a Emanuele Severino, di cui presentava un libro che forse era “Essenza del nichilismo”, non ricordo più bene.
Egli aveva un cappotto colore livrea di passero e, quando scoccò quel passo per entrare nella sala, mi fece pensare a quegli uccelli leggeri che sul prato saltellano mentre si girano. Il suo barbiere deve essere stato un montagnolo tosatore; ne ero sconcertato. La sua acconciatura soldatesca sarebbe stata scandalosa se portata da un poeta, ma io non la trovavo ammissibile nemmeno per un filosofo.
Cenavo con lei in un piccolo ristorante sul lago di Ganzirri. Ci serviva una graziosa ragazza bionda di sguardo celestiale, testimonianza di un filone di sangue normanno che ancora circola da quelle parti. Sole la guardava sistemare il tavolo, portare il cestino del pane; e quando questa si fu allontanata, mi gratificò di un suo cenno gentile, porgendomi insieme parole e sorriso: “Viva la Sicilia!”. La sua conversazione era lieve, nel profondere significati.
Il lago era abitato da lucenti riflessi dorati. Vi si perdeva, mentre sorseggiava il vino. Ma quel che mi occorre ora è riportare una sua frase. Allora mi sforzai di destituirla di realtà, per frenare il mio turbamento. Disse circa così:
«La pur composita etnia italiana, che ormai ha concretizzato una sua identità di popolo, è già in deficit riproduttivo e scomparirà in poche generazioni. La sua identità culturale è attaccata e comincia a essere sbriciolata. La nuova tecnica di sterminio del popolo scomodo è di infida efficienza. Non resterà nulla di noi. L’ipocrita messa alla gogna del razzismo è la nuova forma di razzismo, adottata per farci scomparire.»
Qualche volta i popoli sono quieti come agnelli, quando stanno per rendere l’anima a Dio.

Siamo abituati a pensare alla ribellione come qualcosa che esplode quando non se ne può più, cieca e greve d’ira. Essa è sempre strumentalizzata, fomentata e spesso indotta. Così l’insofferenza del popolo è compensata con altre sofferenze.
Ma c’è un altro tipo di azione liberatoria, ed è il rifiuto razionale della vessazione, che la svirilizza in noi, dove è stata posta. Dunque, non è necessario costituirsi in folla nelle piazze; non si deve, perché fa parte del disegno della manipolazione. Se questa riconosciamo e la rigettiamo in noi, essa è finita; e automaticamente il nostro comportamento diventa risanatore. Gesti piccolini, coscienti, sereni, personali, bastano. Non fumare più non sarà togliersi un vizio, ma un’azione sociale e politica: avendo riconosciuto di essere stati domati, riconquistiamo la nostra selvatichezza. A questo punto, vien voglia di benedire, anziché desiderare di essere benedetti.
È attinente a questa sana, semplice e occultata legge psicologica, il mio riferirmi spesso all’Esperanto. È una lingua, sì, ma soprattutto un esempio di ribellione altamente razionale, che ha una sua musica come la vera poesia.

 

 

 

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