IL VERDE E IL NARCISO di Giuseppe Campolo

Autunno ha sposato Primavera, eludendone il padre Inverno; e anche quelli che Primavera sognavano eterna ne hanno ora paura! Come è possibile che quest’aria dolce, simile ad un idillio universale, preluda alla catastrofe promessa e minacciata? Non piace più il verde, quel colore che abbiamo preso a simbolo di vita e di speranza? Quel colore, da noi mitizzato, che vediamo sol perché le piante lo riflettono cioè lo rifiutano e ce lo rigettano, ritenendolo inutile per l’efficienza dei loro pannelli solari, le foglie! (Efficienza abbastanza relativa, considerato lo spiegamento di superficie necessaria per consentire loro di prosperare, pur nell’economia delle energie che la loro immobilità permette. Inefficienza, per rimediare alla quale sono stati messi in opera portentosi rimedi e disgrazie infinite. Ma di questo mistero spero potrò parlarvi un’altra volta.)
L’invenzione della fotosintesi è alchemia primordiale, ma quanto mai smaliziata e veggente: manipola atomi ed elettroni: trasmuta l’inanimato in animato, ciò che è inerte in ciò che agisce. Chi è il Soggetto, l’Artista, l’Anima Mundi che, cavalcando il tempo, nauseato del duro sonno della pietra, primo Icaro-Narciso-Prometeo-Bellerofonte, osò catturare il sole e ne manipolò l’estorto fuoco, per violare protoni e neutroni? Sarebbe il Caso, amico Darvin? Il Caso la sa lunga come un dio, che non va a casaccio e segue precisi piani! Il Caso? Che prepara il fiore del giusto colore che piace all’ape quando ancora non sa che l’ape comparirà, giacché l’ape non può nascere prima della sua mammella, il fiore; il Caso che ha, dell’ape e del fiore, i numeri nel suo bussolotto.
Scoprire, conoscere, inventare fu… è generare, ma è pure morire, si dice per vendetta degli dei, gelosi dell’avventura amorosa degli intraprendenti mortali. Invidiosi perché ad essi è negata l’evasione dal già visto, avventura che sperimenta soltanto chi non conosce il futuro e può così innescare l’evoluzione. Gli dei che occupano e consustanziano il tempo fermo, onniveggenti e totisapienti, sono condannati all’infelicità di una tavolozza ferma. Di noi, spettacolo che hanno messo in scena per loro, forse fingono di non conoscere gli esiti.
Gli dei più antropomorfi, anch’essi assoggettati al destino, invece godono e piangono al pari di noi. Così la ninfa Liriope (come somiglia a lirica!) interroga l’indovino Tiresia sul destino riservato al figlio, e  ha come risposta la frase emblematica: “Narciso vivrà finché non si sarà conosciuto!”. Morire, valenza arcana del conoscere! Ma è da non dimenticare anche che Narciso è il fiore della perfezione estetica! Infatti quel vaticinio dice quasi tutto dell’arte: Artista è colui che indaga in se stesso e, attraverso se stesso, nel grembo della Grande Madre. Lo scienziato crede di indagare nella natura malgrado se stesso; e di conseguenza si stupisce se il quanta si accorge che lui c’è (interferenza coscienziale, su quel piano scientificamente considerato puro oggetto e cieca espressione di leggi prive di pietà, come ogni altra cosa)! Lo scienziato è convinto di avere un intendimento asettico, ma è narcisista quanto il poeta e l’ingegnere e lo psicologo. Nemmeno il santo sfugge al narcisismo; forse anche la pietra lo è; lo è la Natura sicuramente, la prima Artista, la Signora delle forme e della morte; lo sono gli dei, lo è persino, e più di tutti, l’ometto conservatore: egli è mummificato in sé, faccia oscura della creazione.

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